Alla girandola incessante di notizie su chi vuole uscire dall’Unione Europea e chi vuole restare ma solo a determinate condizioni , fa da contrappunto la penuria di efficaci decisioni politiche che giungono da Bruxelles . Anche uno dei settori più avanzati sulla strada della costruzione di una casa comune europea, l’Unione Bancaria, purtroppo , non sfugge a questa tendenza poco entusiasmante e sembra risentire della generale stagnazione politica. Dopo la sua partenza avvenuta in tempi relativamente rapidi e che sembrava corroborare la volontà di avanzare sul percorso dell’unificazione tracciato nella Dichiarazione dei 5 Presidenti del giugno del 2015 l’attuale valutazione dell’Unione Bancaria costringe a concentrarsi soprattutto sulle criticità e sui nodi che ne impediscono il completamento. Partendo dalla prima delle tre gambe in cui l’Unione Bancaria si articola , quella della Vigilanza Unica svolta sulle banche più rilevanti dell’UE dal novembre del 2014 , non si può negare preliminarmente l’importanza della critica circa la singolarità di una soluzione che prevede l’accentramento nella stessa istituzione delle funzioni di politica monetaria e di quelle di vigilanza. Un secondo aspetto critico concerne la dialettica, spesso sfociata in accesa polemica , tra BCE e Autorità Europee da un lato e Banche Centrali dall’altro su temi, quali : la valutazione e relativa gestione dei crediti deteriorati con la loro veicolazione su strumenti ad hoc , la valutazione e ponderazione dei titoli tossici presenti nel portafoglio delle banche , l’imposizione di coefficienti di capitale di prima qualità sempre più elevati adottati nell’ottica di favorire la stabilità dei sistemi , ma molto spesso accusati di sottrarre risorse preziose all’attività di finanziamento delle banche. La preoccupazione di evitare un’indesiderata mutualizzazione dei debiti tra i Paesi UE , emersa in tema di crediti deteriorati , sembra aver di fatto bloccato l’iter di uno strumento unificato di tutela dei depositi bancari , la cosiddetta terza gamba dell’Unione Bancaria , che finora ha visto semplicemente la conferma delle singole misure nazionali di protezione dei depositanti. L’originario disegno andrebbe viceversa sostenuto , come da tempo sottolineato dal Governatore della Banca d’Italia , Ignazio Visco , “da un backstop pubblico anch’esso europeo da utilizzare nel prevenire effetti sulla stabilità finanziaria quando le risorse del Fondo di Risoluzione e del Fondo di Garanzia unici non risultino sufficienti". Il riferimento al Fondo di Risoluzione chiama direttamente in causa lo sviluppo della seconda gamba dell’Unione Bancaria , quella che ha previsto l’introduzione del meccanismo di Risoluzione Unico delle crisi bancarie con l’adozione del tanto discusso bail - in , entrato in vigore all’inizio del 2016 e che prevede sul piano concorsuale il rispetto di una specifica gerarchia . Gli orientamenti maturati in sede UE e accolti nella Direttiva sul risanamento e sulla risoluzione della Banche del novembre del 2015 hanno fatto imboccare la strada dell’assoggettamento al bail-in di un ampio insieme di passività , esponendo potenzialmente i singoli sistemi a rischi di instabilità finanziaria . Dopo le perplessità e le riserve espresse a suo tempo su questo meccanismo dalla Banca d’Italia , ABI e Federcasse hanno recentemente presentato in sede europea una proposta per modificare le procedure di computo delle passività bancarie da considerare in caso di bail-in . Il quadro descrittivo di alcune delle problematicità emerse dall’ esperienza operativa delle tre gambe dell’Unione Bancaria evoca almeno tre nodi irrisolti in ambito UE , cui porre mano con urgenza : la creazione di un unico Ministero del Tesoro , l’uniformità delle soluzioni normative legate ai temi economico/bancari e il rafforzamento della fiducia reciproca tra i membri dell’Unione. Un’agenda decisamente impegnativa che richiede un robusto cambio di passo rispetto all’andamento finora registrato e che celebrerebbe davvero adeguatamente il sessantenario dei Trattati di Roma !