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La Svizzera dice “no” ai privilegi fiscali per le imprese

La Svizzera dice “no” ai privilegi fiscali per le imprese

Il referendum svizzero sull’imposizione fiscale delle imprese La popolazione svizzera si è mostrata nettamente contraria alla Riforma III dell’imposizione delle imprese, bocciandola in modo evidente durante la recente chiamata alle urne: il 59,1% dei votanti ha infatti detto “no” al testo riguardante i privilegi fiscali per le multinazionali. Il risultato mette fine a quella che stava diventando una pericolosa corsa al ribasso a discapito della collettività, sottolineando la necessità che tutti – compresi azionisti ed imprese – diano il proprio contributo per il bene comune. Parliamo di una condizione di privilegi fiscali - mirati a garantire la tutela unicamente dei grandi gruppi e dei detentori di azioni - che per i cittadini svizzeri era ormai divenuta insostenibile. Com’era nato il progetto di riforma fiscale? Il progetto di riforma, che nasceva con il sostegno del Governo e del Parlamento del Paese, aveva in realtà avuto origine dallo stop richiesto dall’Unione Europea nei confronti degli statuti fiscali speciali concessi in passato a società multinazionali svizzere, in nome di una cosiddetta concorrenza sleale. Per bilanciare questa nuova condizione si era pensato allora di adottare delle misure interne che alleggerissero il peso fiscale a tutte le imprese (anche a quelle non svizzere), naturalmente valutando caso per caso. Ma la sinistra del Paese ha espresso un duro disaccordo, mettendo in evidenza la realistica possibilità di “regali” fiscali alle holding a fronte di un appesantimento fiscale per la classe media della popolazione. I contenuti della proposta di riforma fiscale e le differenti posizioni Nello specifico, la Riforma III dell’imposizione delle imprese aveva l’obiettivo di eliminare l’imposizione ridotta per le società holding, le società di domicilio e le società miste, non più accettabile perché priva di compatibilità con gli standard internazionali, e di introdurre però rilevanti misure di sgravio fiscale promuovendo in particolare il settore dell’innovazione. L’attuale verdetto conclude quella che si è dimostrata essere una campagna molto sentita: fondamentalmente, la destra, i Cantoni e il Consiglio federale non sono stati in grado di convincere l popolazione dell’importanza e della inevitabilità della riforma, nonché del fatto che essa potesse rappresentare un investimento per il futuro. Soltanto in Ticino (51,2%) e nei cantoni di Zugo (54,3%), Vaud (51,3%) e Nidvaldo (50,9%) è stata riscontrata una maggioranza di voti favorevoli. Tutti contrari sono stati invece gli altri 22 cantoni, con una proporzione massima di oppositori a Berna (68,4%), Giura (66,9%) e Soletta (65,9%). I due schieramenti erano d'accordo sulla necessità di eliminare le agevolazioni fiscali per le multinazionali, ed in particolare la destra ha appoggiato il testo proprio per evitare che il Paese restasse nel mirino dell'Unione Europea e dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), che avrebbero potuto applicare sanzioni considerevoli per la suddetta concorrenza sleale. Ciò su cui i due gruppi non si sono trovati d’accordo è stato però il testo comprendente le misure di accompagnamento, che prevedevano, per l’appunto, nuovi sgravi al posto degli eliminati privilegi, con un particolare sostegno finanziario che i Cantoni avrebbero ricevuto dalle casse federali, grazie al quale avrebbero ottenuto un margine di manovra per una generalizzata riduzione dell’aliquota sull’imposta sugli utili. Grandi resistenze sono state suscitate, in particolare, dagli strumenti che i Cantoni avrebbero potuto inserire a tale scopo, ovvero, ad esempio, aumentate riduzioni per la ricerca e lo sviluppo ed un’imposta sull’utile con una deduzione degli interessi sul capitale nettamente superiore alla media. Il tutto avrebbe avuto un costo, per la Confederazione, di circa un miliardo di franchi e per i Cantoni da due a tre miliardi. Adesso, a seguito della bocciatura della Riforma (che sarebbe entrata in vigore nel 2019), spetterà nuovamente al Consiglio Federale trovare quanto prima una soluzione sostenibile per l’intero Paese.

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