Nel mese di novembre scorso il debito pubblico del nostro Paese è arrivato a quota 2.229,4 miliardi di euro e con ogni probabilità il 2016 è stato chiuso sotto la soglia dei 2.220 miliardi (ovvero circa il 133% del nostro Pil). All’aumento, di cui è stata data conferma attraverso i dati del Supplemento finanza pubblica, fabbisogno e debito di Bankitalia, ha contribuito il fabbisogno mensile delle Amministrazioni pubbliche (7,1 miliardi), compensato solo in parte dalla diminuzione delle disponibilità liquide del Tesoro (per 1,6 miliardi, a 46,1, laddove alla fine di novembre 2015 erano pari a 74,4 miliardi). La composizione del debito pubblico Gestire un tale stato di passività non è di poca rilevanza, se consideriamo che il cosiddetto “debito” di un Paese dipenda sempre da due fattori, ovvero il fabbisogno finanziario al netto degli interessi della Pubblica Amministrazione (saldo primario) e la spesa per gli interessi. La nostra penisola ha un avanzo primario di bilancio (che consiste nella differenza tra la spesa pubblica e le entrate tributarie ed extra-tributarie, esclusi gli interessi da pagare sul debito) di circa l’1,5% del proprio Pil, ma non riesce comunque ad arrestare la crescita del debito proprio per la somma degli interessi (BOT, CCT, etc.) da pagare ogni anno. Alla fine il bilancio risulta in negativo di quasi il 2,5%, sulla base dei dati attesi per il 2016. Il peso degli interessi sul debito Negli ultimi 10 anni i contribuenti hanno versato quasi 760 miliardi di euro (per la precisione 756,4 miliardi) proprio per far fronte gli interessi sul debito. Mediamente, un euro su venti viene utilizzato per saldare i creditori: parliamo di una cifra che supera persino quella investita dallo Stato per l’istruzione. Il debito pubblico del nostro Paese è il secondo più alto in Europa dopo quello della Grecia , benché si possa confidare nel cosiddetto “debito implicito” , che è la quota che lo Stato deve pagare per l’erogazione delle future prestazioni previdenziali, assistenziali e sanitarie sulla base di quanto previsto dalla legge (ipotizzando, naturalmente, che tale legislazione in materia rimanga la medesima). Dalla somma del debito pubblico esplicito (ovvero quello arrivato al 132% del Pil) e del debito pubblico implicito, la nostra penisola può trovare una buona posizione (con percentuale del 57%), persino davanti a quella della Germania (149%), della Francia (che ha un debito aggregato del 291%) e della Spagna (che giunge a quota 592%). Tito Boeri, presidente dell’Inps, ha descritto la situazione sottolineando come nel nostro Paese vi sia scarsa attenzione per i problemi delle giovani generazioni: “Quando si introducono nel dibattito pubblico concetti come debito pubblico implicito c’è scetticismo. Ma il debito implicito sintetizza l’impatto sul lungo periodo», proprio perché è strettamente dipendente dalle obbligazioni future, a differenza di quello esplicito che si lega al bilancio e al passato. Per approfondimenti sul tema