Lo scorso dicembre, con un Pil stimato a -0,9%, l'economia di Cuba è entrata ufficialmente in recessione e per il 2017 si prevede un crescita del 2% , indubbiamente non sufficiente a portare il Paese verso una condizione di reale accelerazione economica. Il presidente Raul Castro e il ministro dell’Economia Ricardo Cabrisas hanno affrontato la questione di fronte al Parlamento, sottolineano il fatto che il Paese si stia avviando sempre più verso un importante rallentamento globale. Un dato che, secondo il governo de L'Avana, non è altro che la diretta conseguenza della crisi in Venezuela, considerando che era dal lontano 1993 che non si riscontrava una diminuzione del prodotto interno lordo, ovvero dal periodo in cui l'Unione Sovietica, sua sostenitrice finanziaria, era andata incontro ad un collasso. Situazione paragonabile a quella che attualmente si sta verificando a Caracas, dove i servizi cubani - in termini di personale medico che veniva abitualmente inviato a parziale compensazione – di recente non sono stati neppure più richiesti, con il risultato di una minore entrata nelle casse dello Stato. Neppure la fine dell'embargo USA sembra aver finora apportato dei reali benefici. I voli commerciali sono stati ripristinati, tra i due Paesi sono state riaperte le reciproche ambasciate e rinnovati i primi scambi economici, ma non è bastato. A causare maggiormente l'attuale stato di contrazione economica hanno sicuramente contribuito le mancate entrate sul fronte dell'esportazione, le tensioni sul mercato valutario, il rallentamento nella produzione mineraria e il non adeguato approvvigionamento di combustibile. L'unico settore ad aver tratto un effettivo vantaggio da tale nuova condizione è stato quello del turismo, che ha visto aumentare gli ingressi nel Paese del 15%. La crescita prevista per il 2017, già di per sé troppo esigua per poter rappresentare un dato di uscita dalla recessione, sarà comunque condizionata dalle relazioni di Cuba con l'amministrazione del neo presidente Donald Trump, che non ha esitato a definire Fidel Castro un “dittatore” proprio nel giorno della sua scomparsa, lo scorso 25 novembre. Quel che resta da sciogliere dopo la morte di Castro, del resto, è un'eredità con cui Raoul dovrà presto fare i conti: la doppia moneta, l'approvvigionamento energetico e il sistema politico a partito unico. Sappiamo che a Cuba, dal 1994, circolano sia il peso cubano (Cup) che viene usato per il pagamento dei salari statali, che il peso convertibile (Cuc),con cui si acquistano in beni venduti a L'Avana, equiparato all'euro e superiore al Cup, nel cambio, di ben 25 volte. La doppia valuta ha naturalmente dato vita a due condizioni sociali parallele, mettendo in luce esattamente le disuguaglianze contro cui il governo cubano ha costruito la propria ideologia e di conseguenza definito la propria identità di fronte ai cittadini. Poi, l'autosufficienza energetica. In questo ambito i problemi più seri si sono cominciati a creare proprio nel periodo che ha seguito il tracollo dell'Unione Sovietica, con blackout energetici continui e numerosi (fino a 14-15 al giorno), finché è arrivato in soccorso il governo venezuelano che ha iniziato a fornire a Cuba, quotidianamente, fino a 90mila barili di petrolio in cambio di professionalità in campo medico e scolastico. Attualmente, però, la condizione di estrema inflazione e disoccupazione nella quale si trova il Venezuela getta Cuba, di conseguenza, in una posizione difficile. L'attuale governo cubano, infine, pur avendo introdotto riforme considerevoli, non ha apportato modifiche di rilievo al modello politico di base. Resta, di fatto, il partito unico.