In un Paese privo di un governo ufficiale per quasi un anno è quanto meno sorprendente poter assistere ad una notevole crescita economica. Eppure in Spagna sta accadendo proprio questo: in base ai dati raccolti nel Rapporto “Info Mercati Esteri” realizzato dalla Farnesina, infatti, sappiamo che a fronte dell’instabilità politica si sono registrati un aumento della domanda interna di oltre il 3,5% ed una crescita dei consumi pari al 3%, con un Pil relativo al 2015 aumentato di 1,8 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Parliamo di dati rilevanti, che danno conferma della definitiva uscita dalla recessione di un Paese nel cui parlamento non esistono gruppi politici che possano minare il sistema economico, diversamente dall’Ukip (UK Independence Party) britannico o dal Fronte Nazionale francese. Gli imprenditori spagnoli, d’altro canto, percepiscono l’attuale condizione come temporanea, sicuri del fatto che qualsiasi maggioranza si troverà a governare non porterà gli equilibri economici in uno stato di caos. Juan Tugores, Professore di economia dell’Università di Barcellona, ha sottolineato che la condizione attuale della Spagna non sia, del resto, da considerarsi eccezionale: "L’economia ha una sua inerzia ed in ogni caso in Spagna c’è un governo in funzione per la gestione dell’ordinaria amministrazione. Spesso gli interventi pubblici aumentano le distorsioni ed il malfunzionamento dell’economia; quando la politica non incide per un determinato periodo (anche nel caso dell’assenza di un governo) l’andamento dell’economia non ne risente". L’accelerazione economica spagnola non ha subìto contrazioni nel corso del 2016 e la Spagna si mostra oggi come uno dei più attivi mercati europei, con 46 milioni di abitanti ed oltre 60 milioni di turisti all’anno. Il solo interscambio commerciale con l’Italia – le cui imprese sono da sempre presenti sul territorio iberico - si aggira attorno ai 40 miliardi di euro. Un Paese, la Spagna, all’interno del quale la Catalogna, ad esempio, si conferma in una posizione di estrema attrazione per gli investitori stranieri per qualità della vita, infrastrutture e competitività, nonché da elementi estremamente invitanti quali una pressione fiscale moderata, la facilità nella gestione della burocrazia legata all’apertura o chiusura di attività e naturalmente il livello di tecnologia. Nonostante la crescita delle cifre macroeconomiche, comunque, la creazione di nuovi posti di lavoro è ancora modesta anche in Spagna, dove la recente riforma ha introdotto una serie di misure di austerità tra le quali licenziamenti più facili per alleggerire gli oneri delle imprese, elemento che ha naturalmente suscitato la reazione dei sindacati nei confronti dell’esecutivo di centrodestra. Di fatto, la riforma ha visto salire il tasso di occupazione, nel 2016, del 2,9%, con circa 500 mila posti di lavoro in più, con una parallela crescita del potere di acquisto delle famiglie spagnole, ma quel che serve è una maggiore stabilità contrattuale. E, probabilmente, una leadership economica chiara.