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La produttività in Italia e la qualità del capitale umano

La produttività in Italia e la qualità del capitale umano

Anche quest’anno nelle Considerazioni Finali del Governatore della Banca d’Italia non sono mancate le osservazioni legate ai vincoli che frenano lo sviluppo delle imprese italiane. Partendo dalla diagnosi della bassa produttività e dell’insufficiente capacità di innovare, il ragionamento di Visco si concentra su“il ritardo in termini di conoscenze e di competenze degli studenti e degli adulti italiani nel confronto internazionale”. Insomma,in modo perentorio dall’osservatorio della nostra Banca Centrale si punta il dito sulla questione cruciale della qualità del capitale umano. Qualità, che deve essere accresciuta con adeguati investimenti pubblici e privati. Altrimenti non tarderanno a farsi sentire nei prossimi anni gli effetti negativi sull’occupazione; ed, inoltre, saranno destinate ad accentuarsi le già notevoli disuguaglianze di reddito. Dalle Considerazioni Finali del Governatore Visco alle pagine della Relazione Annuale, per trovare nella parte dedicata al mercato del lavoro un interessante riquadro dedicato al disallineamento tra domanda di lavoro e livello di istruzione. Un fattore quest’ultimo, giudicato dagli esperti nazionali e internazionali (tra cui l’OCSE), in grado di influenzare in modo significativo la dinamica della produttività. Analizzando il periodo 2000-2015, risulta che il 40% degli italiani “possedeva un livello di istruzione significativamente diverso da quello richiesto nella professione svolta”; una percentuale inferiore a quella della Spagna, ma decisamente superiore ai valori della media UE e,in particolare, di Francia e Germania. Due gli aspetti, che su questo specifico versante meritano di essere ricordati. Il primo, legato al possesso di titoli di studio inferiori a quelli richiesti e riconducibile all’elevata quota di persone sprovviste di diplomi di scuola secondaria superiore, sembra essere in via di attenuazione, essendo maggiormente diffuso tra le generazioni più anziane. Il secondo aspetto, connesso al possesso di titoli superiori alle richieste, sembra incidere di meno sul livello del disallineamento complessivo. Peraltro, al di là del dato statistico finale, rimane il profilo qualitativo che rivela come quasi la metà dei laureati italiani viene impiegato in professioni che non richiedono titoli superiori, “con una quota che nei primi 5 anni di carriera lavorativa sfiora il 60%dei lavoratori laureati sovraistruiti”. Cosa fare per contrastare queste tendenze e allineare la qualità del capitale umano alle necessità di sviluppo dell’economia? La ricetta, dettata da Via Nazionale, pone al centro dell’attenzione l’importanza di una formazione che non sia limitata agli anni dell’istruzione, ma si prolunghi durante l’intero arco di tempo della vita lavorativa con un impegno sfidante per i singoli e per le imprese. Un prezzo alto da pagare,ma indispensabile, se si vuole attivare un circolo virtuoso che favorisca finalmente,sia l’inserimento adeguato delle nuove generazioni nel mercato del lavoro, sia uno sviluppo non effimero del Paese. Regina Picozzi

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