All’inizio del ‘900 si verificò quella che tutti conoscono come la “Grande Depressione”, ovvero l’importante crisi finanziaria che colpì sia l’America che l’Occidente causando una diffusa e seria disoccupazione, chiusure di aziende, fallimenti societari, fino anche alla difficoltà nel reperire persino i generi di prima necessità. Fu in questo periodo e in questo particolare contesto che l’economista inglese John Maynard Keynes sviluppò una teoria che passò poi alla storia, secondo cui la tipica condizione del sistema economico non è l’equilibrio (come invece era stato descritto nella “teoria di Say”, che sosteneva che eventuali fenomeni che si discostassero dalla situazione di pieno lavoro ed occupazione fossero solo di passaggio), bensì la “sottoccupazione”. In questi specifici momenti, a suo parere, è importante allora accrescere la spesa pubblica anche correndo il rischio di incorrere in un deficit spending, ovvero in un aumento del deficit pubblico, poiché in seguito si verificherà una condizione di disavanzo: lo Stato avrà più spese che entrate e per fronteggiarle dovrà ricorrere a dei prestiti rappresentati dai cosiddetti “titoli del debito pubblico”, presso gli istituiti bancari. Dando dimostrazione del fatto che l’economia possa dunque, di fatto, rimanere bloccata in un equilibrio di “sottoccupazione”, Keynes sottopose all’attenzione degli esperti della sua epoca una vera e propria sfida, ovvero quella di accettare il paradosso in base al quale il mercato possa venir portato in una condizione di equilibrio dai prezzi dei beni al consumo. Di conseguenza uno Stato può trovarsi nella condizione di dover generare un deficit per poter mantenere l’occupazione piena della popolazione. Keynes riteneva, infatti, che le risorse disponibili per i cittadini e la domanda fossero in realtà sempre inferiori all’offerta effettiva, in considerazione del fatto che i consumi non aumentassero mai in maniera proporzionale all’aumento del reddito dei cittadini. Nel 1935 scrisse a George Bernard Shaw: “Credo che realizzerò un libro di teoria economica che rivoluzionerà in gran parte – non penso immediatamente, ma nel corso dei prossimi dieci anni – il modo in cui il mondo guarda ai problemi economici.”. La sua opera più grande, ovvero la “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”, che venne pubblicata nel 1936, ebbe effettivamente il risultato di modificare la politica economica. Proprio sulle teorie di Keynes si basò il cosiddetto New Deal (“Nuovo Corso”), un programma di interventi pubblici, con il finanziamento del Governo, che venne adottato negli Stati Uniti nel periodo di presidenza di Roosevelt. Il piano fece mettere in atto una serie importante di sussidi statali ai disoccupati, un progetto di lavori pubblici, la presenza di salari minimi per chi aveva un’occupazione lavorativa e specifiche tipologie assicurative per la terza età. Fu in questo modo che il Paese riuscì ad uscire dalla crisi.