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Il patto di stabilità

Il patto di stabilità

In questi ultimi giorni si discute spesso della possibilità che l’Italia non riesca a rispettare il Patto di stabilità. Ma di cosa parliamo, esattamente?

Si tratta di un accordo stipulato nel 1997, denominato - per l’esattezza - Patto di Stabilità e di Crescita (PSC). Nella sua iniziale formulazione era costituito da una risoluzione del Consiglio Europeo di Amsterdam, con l’adesione di 11 Paesi (Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Spagna).

In seguito è stato esteso anche a Cipro, Estonia, Malta, Slovacchia e Slovenia (in quanto facenti parte dell’Eurozona); poi a Bulgaria, Danimarca, Lettonia, Lituania, Polonia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Svezia ed Ungheria, che però hanno stabilito di non adottare la moneta dell’Unione.

In base a tale accordo tutti gli Stati si sono impegnati a perseguire, con una modalità di medio termine, la finalità di un saldo del bilancio finanziario delle pubbliche amministrazioni vicino al pareggio o in avanzo.

Il Patto, dunque, è nato con l’obiettivo di garantire che i resoconti economici di tutti i Paesi membri restassero tali anche dopo l’introduzione dell’euro ed è stato strutturato in una fase di crescita europea e di buone prospettive per il futuro.

Il problema è che successivamente l’Europa ha intrapreso una fase di stallo, a seguito della quale si è molto discusso sulla possibilità che tale patto fosse troppo rigoroso.

Cosa prevede

Il Patto, che si prefigge di aumentare il controllo sulle politiche di bilancio pubblico, tenendo conto quindi di deficit e debiti nazionali e rafforzando l’integrazione monetaria il cui processo era già iniziato con Maastricht nel 1992, prevede che i Paesi che l’hanno sottoscritto rispettino due parametri: un rapporto deficiti/Pil inferiore al 3% e un rapporto debito pubblico/Pil al di sotto del 60%.

Nel caso la soglia prevista venga oltrepassata, è previsto che gli Stati subiscano una sanzione da parte della Commissione Europea.

Il Patto di stabilità interno

A livello locale parliamo di Patto di stabilità interno. Il nostro Paese l’ha elaborato a partire dal 1999.

Si tratta di fissare degli obiettivi programmatici per ciascun ente territoriale a livello nazionale. Le regole vengono stabilite attraverso la predisposizione e successiva approvazione  della manovra di finanza pubblica, ovvero quando si effettua l’analisi delle previsioni sul decorso dell’economia del Paese, scegliendo la portata e la tipologia delle misure correttive da realizzare l’anno seguente.

Sappiamo che la politica monetaria alla base dell’accordo è piuttosto intransigente, motivo per cui numerosi Stati richiederebbero una forma di economia più aperta,  maggiormente espansiva, in ragione del fatto che le sue conseguenze si riflettono sulla reale economia interna, agendo ad esempio sui tassi d’interesse.

Il Patto di stabilità: cosa accadrà?

Alla luce della situazione di emergenza nella quale l’Italia, come ogni altro Stato, si ritrova a vivere attualmente, i ministri finanziari dell’Unione Europea hanno concesso che di fatto vengano sospese le regole alla base del Patto di stabilità.

Siamo infatti di fronte ad una fase di attesa di una severa e inevitabile recessione, che richiede una “risposta risoluta, ambiziosa e coordinata”. La soluzione accordata si propone di fornire un sostegno alle economie pubbliche nel medio termine, evitando loro di incorrere in danni permanenti, come dichiarato da Ecofin (Consiglio Economia e Finanza) in un recente comunicato stampa relativamente all’emergenza Coronavirus.

Regina Picozzi

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